2014, Sentenza sul ricorso proposto dal CONI contro Dallari, Cisi e Ranieri: a) accoglie l’appello principale; b) rigetta l’appello incidentale,
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1315 del 2014, proposto dal Coni - Comitato Olimpico Nazionale Italiano, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Mario Sanino, Alberto Angeletti con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Giuseppe Pisanelli, n. 2;
contro
Antonella Dallari, Amos Cisi e Renata Raineri, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Letizia Mazzarelli, Paolo Canonaco, Paolo Nicoletti e Luigi Medugno con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Panama, n. 58;
Piergiuseppe Migliorini, Stefano Romiti, non costituiti;
Piergiuseppe Migliorini, Stefano Romiti, non costituiti;
nei confronti di
Gianfranco Ravà, nella qualità di Commissario straordinario della Fise – Federazione italiana sport equestri,
rappresentato e difeso dall'avvocato Guido Valori, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale delle Milizie, n. 106;
Alta Corte di Giustizia Sportiva, Alberto De Nigro e Max Andrè Barbacini, nella qualità di Vicecommissari straordinari della Fise, Circolo Ippico Uccelina Asd, tutti non costituiti;,
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
rappresentato e difeso dall'avvocato Guido Valori, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale delle Milizie, n. 106;
Alta Corte di Giustizia Sportiva, Alberto De Nigro e Max Andrè Barbacini, nella qualità di Vicecommissari straordinari della Fise, Circolo Ippico Uccelina Asd, tutti non costituiti;,
per la riforma
della sentenza in forma semplificata del T.a.r. per il Lazio – ROMA - Sezione III quater, n. 9993 del 22 novembre 2013.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori Antonella Dallari, Amos Cisi e Renata Raineri nonchè di Gianfranco Ravà nella qualità di Commissario straordinario della Fise;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2014 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati Angeletti, Sanino, Medugno, Mazzarelli, Canonaco, e Valori;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con ricorso proposto dinanzi al TAR per il Lazio i Sig.ri Antonella Dallari, Amos Cisi, Renata Raineri, Piergiuseppe Migliorini e Stefano Romiti hanno chiesto l’annullamento:
a) della decisione n. 19 del 27.06.13 con la quale l'Alta Corte di Giustizia Sportiva presso il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (d’ora in poi C.O.N.I.) aveva accolto il ricorso proposto dal Circolo Ippico Uccellina ASD avverso le operazioni elettorali che avevano condotto all'elezione del presidente della Federazione Italiana Sport Equestri (d’ora in poi F.I.S.E.) in esito all'assemblea federale del 10.09.12;
b) della delibera del Consiglio nazionale del Coni - n. 1491 del 10 luglio 2013 – recante la nomina del signor Gianfranco Ravà, quale commissario straordinario della F.I.S.E., e dei signori Alberto De Nigro e Max Andrè Barbacini, quali vice commissari straordinari del medesimo ente.
2. Il TAR, pronunciando sul ricorso di prime cure:
a) lo ha ritenuto fondato nella parte rivolta avverso la decisione dell’Alta Corte di Giustizia n. 19 del 27 giugno 2013, che quindi annullava; in particolare ha riscontrato l’erroneità del sindacato giustiziale esercitato da quest’ultima sull’operato della Commissione Verifica Poteri (d’ora in poi CVP) della F.I.S.E. in relazione al conseguente deliberato dell’Assemblea del medesimo ente;
b) lo ha ritenuto fondato nella parte rivolta avverso la delibera del C.O.N.I. n. 1491 del 2013 (riconosciuta illegittima per invalidatà derivata nella misura in cui ha recepito gli esiti ai quali era giunta l’Alta Corte di Giustizia);
c) lo ha dichiarato improcedibile nella parte rivolta avverso la delibera del C.O.N.I. n. 1491 del 2013 (liddove quest’ultima ha motivato il commissariamento anche in relazione alla grave situazione amministrativo-contabile in cui versa la Fise), in quanto impugnativa proposta per la prima volta dinanzi a questo giudice, in palese violazione del vincolo della c.d. pregiudiziale sportiva.
3. Con appello notificato il 5 febbraio 2014 il C.O.N.I. invoca la riforma della sentenza di prime cure, per i seguenti motivi:
a) il ricorso proposto dal Circolo Ippico Uccellina ASD dinanzi all’Alta Corte di Giustizia Sportiva presso il C.O.N.I. avrebbe avuto ad oggetto due censure. La prima avrebbe riguardato il difetto di legittimazione al voto di 24 tesserati con qualifica di proprietari di cavalli, i quali non sarebbero stati proprietari di alcun cavallo ovvero sarebbero stati proprietari di cavalli non iscritti al repertorio della F.I.S.E. La seconda, invece, l’avere la CVP illegittimamente negato l’ammissione al voto per delega di 19 associazioni, portatrici complessivamente di 133 voti. Su questo secondo punto l’Alta Corte di Giustizia Sportiva avrebbe rilevato, da un lato, il vizio di carenza di potere della CVP a decidere i ricorsi proposti avverso il diniego di riconoscimento del diritto di voto; dall’altro, l’invalidità della determinazione assunta dalla CVP per il carattere indebitamente cumulativo ed indifferenziato del diniego di ammissione al voto. La sentenza impugnata avrebbe ritenuto, quanto alla prima censura, che trattandosi di vizio di incompetenza, la stessa avrebbe dovuto essere oggetto di apposita doglianza proposta dinanzi all’Alta Corte, che non avrebbe potuto diversamente rilevarla d’ufficio. Del pari, secondo il primo giudice, l’Alta Corte non avrebbe dovuto esaminare caso per caso i 19 dinieghi di ammissione al voto sopra citati. A giudizio dell’appellante entrambe le conclusioni del TAR sarebbero errate. Infatti, posto che non sussisterebbe alcun dubbio circa le modalità di esame dei ricorsi da parte dell’Assemblea e dei poteri della CVP, la patologia verificatasi non potrebbe non tradursi nella nullità se non addirittura nell’inesistenza della delibera di diniego dell’ammissione al voto. Erronea sarebbe, invece, la conclusione del TAR secondo la quale si sarebbe in presenza di un’ipotesi di incompetenza relativa. Pertanto, sarebbe corretta la rilevazione d’ufficio della patologia in questione. Allo stesso tempo, non sarebbe corretta la mancata deduzione da parte del Circolo Ippico Uccellina ASD del vizio di carenza di potere della CVP, che sarebbe, invece, stato denunciato compiutamente nel ricorso per motivi aggiunti proposti sempre all’Alta Corte;
b) la pronuncia di prime cure sarebbe, inoltre, erronea nella parte in cui, pur partendo da una premessa condivisibile - ossia che nell’atto a motivazione plurima è sufficiente la fondatezza di una sola delle rationes decidendi per sorreggerne la validità - giunge all’erronea conclusione che le due motivazioni a sostegno della più volte menzionata delibera n. 1491 sottendessero due distinti atti: il primo di pedissequa vincolata esecuzione della decisione dell’Alta Corte n. 19 del 2013, il secondo relativo alla grave situazione economico-contabile della F.I.S.E. Da qui gli ulteriori errori che sarebbero stati commessi dal primo giudice per non aver rilevato che il commissariamento comporta sempre lo scioglimento degli organi elettivi e la conseguente necessità di costituirli ex novo e che la pregiudiziale sportiva debba essere soddisfatta in ragione del contenuto della motivazione piuttosto che della natura stessa dell’atto, sicché sotto questo profilo il TAR avrebbe dovuto limitarsi a rilevare il difetto della pregiudiziale sportivatout court con riferimento all’intero ed unitario provvedimento di commissariamento ai sensi dell’art. 3 d.l. n. 220 del 2003. Ancora erronea sarebbe la conclusione del TAR secondo la quale il potere di commissariamento delle Federazioni Sportive Nazionali sia automatica conseguenza delle decisioni assunte dagli organi di giustizia sportiva. Al contrario, l’art. 7, comma 2, lett. f), d.lgs. n. 242 del 1999, configura l’esercizio di un simile potere a conclusione di autonoma valutazione, da parte del C.O.N.I. di specifiche situazioni di impossibilità di funzionamento degli organi direttivi o di vertice della F.IS.E. ovvero di gravi irregolarità amministrativo-contabili.
4. Si sono costituiti in giudizio tre degli originari cinque ricorrenti, odierni appellati, interponendo appello incidentale autonomo (notificato il 23 febbraio 2014); invocano, a loro volta, la riforma della sentenza di prime cure, opponendosi allo stesso tempo all’accoglimento dell’appello principale. In particolare, gli appellanti incidentali pongono in evidenza come il provvedimento di nomina del commissario straordinario non potrebbe che considerarsi come unico ed inscindibile. Inoltre, la causa di commissariamento individuata nella presunta mala gestio sarebbe soltanto un obiter dictum, risultando assorbente il profilo relativo all’impossibilità di funzionamento dell’organo gestorio per effetto dell’intervenuto provvedimento di annullamento della procedura elettiva. In questo senso la decadenza dell’organo gestorio a causa dell’annullamento della tornata elettorale renderebbe irrilevante il profilo della mala gestio, non potendosi provvedere a sciogliere un organo già in realtà decaduto. Da qui la denunciata erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui rileva una violazione della pregiudiziale sportiva, atteso che, qualora gli originari ricorrenti avessero censurato il provvedimento in questione laddove invoca la mala gestio, lo stesso sarebbe risultato in questa parte inammissibile, per il carattere pregiudiziale della questione relativa alla regolarità del procedimento elettorale. Dall’ammissibilità del ricorso di primo grado, anche nella parte diretta a contestare la motivazione del provvedimento impugnato non esaminata dal TAR, discenderebbe come conseguenza l’onere di esame delle censure non analizzate dal giudice di prime cure che vengono in questa sede riproposte. Secondo gli appellanti incidentali non si sarebbe potuta deliberare la decadenza dell’intero Consiglio federale ai sensi dell’art. 27 punto 9 dello Statuto F.I.S.E. ed il conseguente commissariamento, ben potendo in tale evenienza, come disposto dalla stessa norma, il Vice Presidente vicario pilotare la Federazione verso le operazioni elettorali. Sarebbe del tutto priva di causa e pertanto nulla la scelta del C.O.N.I. di commissariare la Federazione sulla scorta di una mala gestio, non potendosi disporre l’esautoramento di un organo, che si assuma essere già decaduto. Secondo gli appellanti incidentali, o il Consiglio federale era già decaduto, e quindi, non poteva essere disciolto per irregolarità, ovvero non era ancora decaduto, nel qual caso sarebbe stato necessario consentire ai destinatari del provvedimento di esercitare le loro facoltà partecipative, anche in ragione delle possibili conseguenze, che travalicano la realtà sportiva. Pertanto, a tal fine sarebbe stata necessaria un formale contestazione a carico degli amministratori in carica, con la possibilità di quest’ultimi di vagliare le risultanze istruttorie e controdedurre. Il ché sarebbe ancora più grave in ragione della risalenza nel tempo della situazione debitoria già nota al C.O.N.I.; della circostanza che pochi giorni prima il progetto del bilancio preventivo sarebbe stato approvato dalla Giunta nazionale e del fatto che il provvedimento del C.O.N.I. sarebbe stato adottato sulla scorta della sola relazione dell’8 luglio 2013 dei Servizi amministrativi del medesimo ente, che sarebbe giunta a conclusioni difformi rispetto a quelle della Commissione mista insediatasi per predisporre uno studio diretto ad individuare gli interventi economici più immediati.
Ancora, non sussisterebbe alcuna ipotesi di mala gestio a carico degli amministratori destinatari del provvedimento impugnato, sicché non si sarebbe potuto imputare agli stessi una responsabilità addebitabile alle precedenti gestioni. Né sarebbero valutabili, incorrendo in un’indebita integrazione della motivazione in giudizio, ulteriori argomenti introdotti in primo grado non desumibili dall’atto impugnato.
5. In data 11 marzo 2014 si è costituito in giudizio il Commissario straordinario, per aderire all’appello del C.ON.I. ed invocare la reiezione dell’appello incidentale, precisando che all’indomani dell’impugnata pronuncia del TAR, l’Alta Corte di Giustizia (n. 8 in data 18 marzo 2014) ha respinto l’ulteriore ricorso proposto da alcuni degli odierni appellanti incidentali avverso la deliberazione del Consiglio Nazionale del C.O.N.I. del 10 luglio 2013 (onde superare la declaratoria di improcedibilità del primo ricorso giurisdizionale), nonché avverso la successiva deliberazione del C.O.N.I. in data 19 dicembre 2013 di proroga del commissariamento.
6. Con memoria del 14 novembre 2014 gli appellanti incidentali pongono in luce come avverso la decisione resa dall’Alta Corte di Giustizia n. 8 del 2014, gli stessi avrebbero proposto ricorso dinanzi al TAR per il Lazio, che non avrebbe accolto la loro istanza cautelare. Nella stessa memoria sostengono, inoltre, che l’appello del C.ON.I. sarebbe inammissibile in quanto quest’ultimo non sarebbe stato parte nel contenzioso dinanzi all’Alta Corte di Giustizia, non vi sarebbe un rapporto di immedesimazione organica con l’Alta Corte, né sarebbe titolare di una posizione giuridica tutelabile autonomamente, non potendosi a tal fine ritenere sufficiente la caducazione della delibera n. 1491 del 2013, poiché travolta automaticamente dall’annullamento della decisione dell’Alta Corte. Nel merito l’appello del C.O.N.I. sarebbe, a giudizio degli appellanti incidentali, infondato.
7. Con memoria del 14 novembre 2014 il commissario straordinario, tuttora in carica, pone in luce che gli appellanti incidentali si sarebbero fatti promotori di un’iniziativa (dagli stessi successivamente rinunciata) dinanzi al TAR per il Lazio per ottenere chiarimenti in sede di ottemperanza. Inoltre, evidenzia il difetto di interesse alla definizione dell’appello incidentale in quanto questi ultimi hanno proposto ricorso all’Alta Corte per superare lo sbarramento della cd. pregiudiziale sportiva ed hanno fatto ricorso al TAR contro la decisione loro sfavorevole che ne è seguita. Pertanto, da un lato, non vi sarebbe interesse all’esame del vizio della sentenza di primo grado inerente al mancato accesso alla tutela giustiziale, dall’altro, non vi sarebbe interesse in questa sede all’esame del merito delle ulteriori questioni correlate alla precedente, poiché tutte sarebbero state riproposte dinanzi al TAR avverso la successiva citata decisione dell’Alta Corte. Infine, anche qualora si dovesse ritenere che tali doglianze fossero fondate, non potrebbe giungersi alla ricostituzione del Consiglio giacché, ad eccezione di due dei consiglieri annoverati tra gli odierni appellanti incidentali, tutti gli altri avrebbero prestato acquiescenza.
Nel merito, inoltre, sarebbero infondate le doglianze degli appellanti incidentali. E, infatti, non avendo il provvedimento di commissariamento carattere sanzionatorio non potrebbe invocarsi la violazione di alcuna garanzia partecipativa e, in ogni caso, gli appellanti incidentali erano edotti in ordine ai controlli posti in essere dagli uffici del C.O.N.I.
Fondate sarebbero, invece, le doglianze contenute nell’appello del C.O.N.I., avendo il TAR errato nel non dichiarare improcedibile nella sua totalità il ricorso di prime cure. Inoltre, il primo giudice avrebbe errato nel qualificare la deliberazione del C.O.N.I., quale atto necessitato all’indomani della decisione dell’Alta Corte. Inoltre, sarebbe legittima la motivazione, non esaminata dal TAR, relativa alle gravi irregolarità contabili riscontrate nella gestione della F.I.S.E..
8. Con memoria del 14 novembre 2014 il C.ON.I. ha precisato le sue difese, affermando tra l’altro che le “Norme di attuazione dello Statuto federale” (artt. 28.4 e 29.3) stabilirebbero una specifica disciplina per le contestazioni sulla validità della rappresentanza di un avente diritto al voto in assemblea, la cui inosservanza nella fattispecie sarebbe tracimata in un vizio di nullità o di inesistenza delle delibera di diniego di ammissione al voto, in quanto tale rilevabile d’ufficio dall’Alta Corte. Una simile radicale nullità avrebbe impedito all’Alta Corte di entrare nel merito delle singole situazioni, diversamente opinando l’Alta Corte si sarebbe dovuta sostituire all’Assemblea.
Quanto all’appello incidentale, la difesa del C.O.N.I. evidenzia che sarebbe sopravvenuta la carenza di interesse delle controparti a coltivare l’appello incidentale atteso che dal suo accoglimento discenderebbe non l’esame delle censure assorbite dalla decisione appellata, ma la rimessione al giudice di primo grado avendo le parti censurato la declaratoria di improcedibilità del gravame per omesso assolvimento della pregiudiziale sportiva che è fattispecie qualificabile come difetto, seppure temporaneo, di competenza e/o di giurisdizione e quindi rientrante nelle fattispecie considerate dall’art. 105 C.P.A. Risultato quest’ultimo già assicurato dal ricorso proposto dagli stessi appellanti incidentali avverso il sopravvenuto diniego opposto dall’Alta Corte. Ancora non sarebbe corretto il richiamo all’art. 27 dello Statuto della FISE richiamato dagli appellanti incidentali, perché questo disciplina le situazioni di ordinaria decadenza degli organi, ma non la situazione valutata dal C.O.N.I. che, riguardando la regolare costituzione di quegli organi, ineriva la loro stessa genesi.
9. Con memoria di replica del 21 ottobre 2014 il C.O.N.I. ribadisce la propria legittimazione processuale, la nullità assoluta del diniego di ammissione al voto, la correttezza delle valutazioni assunte dall’Alta Corte, l’unitarietà del provvedimento adottato dal C.O.N.I. fondato su due distinti ordini argomentativi e la conseguente unicità della pregiudiziale sportiva.
10. All’udienza pubblica del 2 dicembre 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente, occorre esaminare l’eccezione di difetto di legittimazione del C.O.N.I. ad appellare sollevata dagli intimati appellanti incidentali nella memoria del 14 novembre 2014.
L’eccezione appare ictu oculi infondata atteso che l’odierno appellante principale, pur non essendo stato parte del giudizio svoltosi dinanzi all’Alta Corte di Giustizia sportiva, trae la sua legittimazione processuale dalla difesa del provvedimento oggetto di impugnazione nel giudizio di primo grado, ossia la delibera n. 1491 del 2013. Nella presente controversia il C.ON.I. assumeva nel giudizio di prime cure le vesti di parte necessaria del giudizio, in quanto amministrazione resistente, sicché non può dubitarsi della sua legittimazione a proporre appello ai sensi degli artt. 41 comma 2 e 102, comma 1, c.p.a.
2. Prima di passare all’esame delle questioni di merito è opportuno operare una breve ricostruzione dei fatti salienti della presente controversia, quali emergono dagli atti acquisiti al fascicolo del presente giudizio. Quindi, chiarire i rapporti esistenti tra la giustizia sportiva e la giurisdizione amministrativa.
2.1. In data 10 settembre 2012 si riuniva l’Assemblea della F.I.S.E. per il rinnovo delle cariche federali per il quadriennio 2013-2016; all’esito della votazione era nominata Presidente Federale la Sig.ra Antonella Dallari.
In data 17 ottobre 2010 il Circolo Ippico Uccellina ASD proponeva ricorso dinanzi all’Alta Corte di Giustizia sportiva, denunciando l’illegittima ammissione al voto di 24 tesserati e l’illegittimo diniego di ammissione al voto per delega di 19 associazioni.
Con pronuncia n. 19 del 27 giugno 2013 l’Alta Corte accoglieva il ricorso.
In data 10 luglio 2013 il C.ON.I. su proposta della Giunta nazionale del 9 luglio 2013, deliberava il commissariamento della F.I.S.E., preso atto della citata pronuncia dell’Alta Corte e della necessità, già evidenziata nella proposta della Giunta, di pervenire alla regolarizzazione amministrativo contabile della Federazione.
All’indomani della pubblicazione della sentenza oggetto di gravame, gli originari ricorrenti di primo grado adivano l’Alta Corte, invocando l’annullamento della delibera del C.O.N.I. n. 1491 del 10 luglio 2013 per violazione dell’art. 27, punto 9) dello Statuto F.I.S.E., eccesso di potere sotto vari profili, violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 23 dello Statuto C.O.N.I., ma l’Alta Corte respingeva il ricorso con decisione del 18 marzo 2014.
Infine, un ulteriore ricorso proposto dinanzi all’Alta Corte avverso la delibera del C.O.N.I. n. 1508/2014 di proroga del commissariamento veniva dichiarato inammissibile. Anche avverso questa pronuncia gli odierni appellanti incidentali adivano il TAR per il Lazio, presso il quale pende il ricorso n. 4633/2014.
2.2. Così delineate le vicende, che vedono intrecciarsi i ricorsi proposti dinanzi all’Alta Corte con quelli avanzati dinanzi alla giurisdizione amministrativa, appare opportuno chiarire in diritto, quali siano le relazioni che intercorrono tra i due procedimenti contenziosi fermo restando che nella controversia in esame non si discute della presenza o meno della giurisdizione del g.a. (questione non portata all’attenzione del Consiglio di Stato con specifici mezzi di gravame),
2.3. Con l’introduzione degli artt. 2 e 3, d.l. 19 agosto 2003, n. 220, la giurisdizione amministrativa nelle controversie sportive viene delimitata in relazione all’ambito di intervento della giurisdizione del g.o., agli atti impugnabili, nonché alla riserva di cd. merito sportivo. Tale approdo normativo è il risultato dell’elaborazione della giurisprudenza delle giurisdizioni superiori (fra le tante, Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2003, n. 14666; Id., 11 ottobre 2002, n. 14530; Cons. St., Sez. VI, 10 ottobre 2002, n. 5442), che avevano fissato in materia i seguenti principi:
a) l’operatività della clausola compromissoria solo nell’ambito strettamente tecnico-sportivo e dei diritti disponibili, ma non in materia di interessi legittimi;
b) il carattere irrituale degli arbitrati sportivi;
c) il carattere amministrativo di taluni atti adottati dalle federazioni sportive quali organi del C.ON.I., stante l’evidente funzione pubblica esercitata, con tutto ciò che ne consegue in termini di giurisdizione del g.a. (si pensi alla giustiziabilità dinanzi al g.a. del provvedimento di revoca dell’affiliazione ad una federazione; nel senso che la controversia avente ad oggetto un atto di ripescaggio di una società sportiva rientra nella sfera di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, v. Cons. Stato, sez. VI, 14 novembre 2011, n. 6010),
d) la riserva agli organismi sportivi dei modi e delle forme di svolgimento dell’attività agonistica;
e) la sussistenza della giurisdizione del g.o. nel caso di controversia sul tesseramento degli atleti, in ragione del carattere non attuativo degli indirizzi del C.ON.I. di un simile atto e della natura di diritto soggettivo della posizione azionata dal singolo.
Tuttavia, si è ritenuto che appartenga alla giurisdizione ordinaria, in quanto riguardante soggetti privati, la controversia promossa nei confronti dei componenti della commissione di vigilanza delle società calcistiche e di una società che gli istanti ritenevano illegittimamente ammessa al campionato di serie A, nonché del presidente e di un consigliere della medesima, al fine di ottenere il risarcimento dei danni derivanti da tale ammissione, che aveva impedito il ripescaggio di altra squadra, retrocessa in serie B alla fine della precedente stagione sportiva (cfr. Cass., ord. 22 novembre 2010, n. 23598).
Pertanto, all’indomani dell’entrata in vigore del d.l. 230/2003, esulano dalla giurisdizione amministrativa le controversie patrimoniali tra società, associazioni e tesserati (cfr. Cass. civ., Sez. III, 20 settembre 2012, n. 15934; Cass., Sez. Lav., 4 maggio 2009, n. 5217). Mentre vi rientrano le controversie, ivi comprese quelle risarcitorie (cfr. Cass. civ., Sez. III, 2 marzo 2012, n. 3252), che hanno ad oggetto atti emanati dal C.ON.I. e dalle singole federazioni, in ragione del carattere esclusivo della giurisdizione riconosciuta al g.a. in materia, benché il problema dell’esatta individuazione della posizione giuridica azionata torni a farsi impellente nel momento in cui si debba valutare la compromettibilità in arbitri della controversia ovvero sia necessario individuare il regime delle impugnative avverso le decisioni della giustizia sportiva.
Infine, vengono riservate agli organi di giustizia interni dell’ordinamento sportivo le controversie inerenti all’osservanza delle norme dell’ordinamento sportivo ed ai comportamenti rilevanti sul piano disciplinare (cfr. Cons. St., Sez. VI, 20 novembre 2013, n. 5514; Id., 24 settembre 2012, n. 5065). Previsione quest’ultima che ha trovato l’avallo della Corte costituzionale con la sentenza n. 49 del 2011 che da un lato ha ritenuto preclusa la tutela demolitoria del G.A. ma dall’altro ha comunque fatta salva la giurisdizione di quest’ultimo sulle domande risarcitorie conseguenti alla violazione di interessi legittimi e diritti soggettivi connessi (in termini Cass. civ., sez. III, 2 marzo 2012, n. 3252, secondo cui rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la domanda con cui si chiede il risarcimento dei danni asseritamente cagionati dalla Figc per aver privato una società calcistica della possibilità di disputare il campionato di una serie superiore, indipendentemente dal fatto che l’azione risarcitoria sia stata promossa da soggetti affiliati, o non, alla Figc.; nel medesimo senso si era espressa Cass. civ., ord. 12 marzo 2009, n. 5973 in relazione alla tutela invocata da un soggetto non appartenente all’ordinamento sportivo).
Una conferma dell’impianto descritto si ha con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 104 del 2010 – recante il codice del processo amministrativo - che, oltre a modificare l’art. 3, d.l. 230/2003, all’art. 133, comma 1, lett. z), ha individuato la giurisdizione esclusiva del g.a. per: “le controversie aventi ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservate agli organi di giustizia dell’ordinamento sportivo ed escluse quelle inerenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti;”.
Appare opportuno chiarire i termini di operatività del vincolo della c.d. pregiudiziale sportiva, previsto dal citato art. 3, comma 1, che recita: “Esauriti i gradi della giustizia sportiva e ferma restando la giurisdizione del giudice ordinario sui rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, ogni altra controversia avente ad oggetto atti del Comitato olimpico nazionale italiano o delle Federazioni sportive non riservata agli organi di giustizia dell'ordinamento sportivo ai sensi dell'articolo 2, è disciplinata dal codice del processo amministrativo. In ogni caso è fatto salvo quanto eventualmente stabilito dalle clausole compromissorie previste dagli statuti e dai regolamenti del Comitato olimpico nazionale italiano e delle Federazioni sportive di cui all'articolo 2, comma 2, nonché quelle inserite nei contratti di cui all'articolo 4 della legge 23 marzo 1981, n. 91”. La norma in questione impone il necessario rispetto delle clausole compromissorie previste dagli Statuti e dai regolamenti del C.O.N.I. e delle Federazioni sportive, con la conseguenza che l’accesso diretto alla giurisdizione amministrativa senza il previo esaurimento dei rimedi giustiziali sportivi comporta l’inammissibilità del ricorso proposto dinanzi al g.a. (cfr. Cons. St., Sez. VI, 31 maggio 2013, n. 3002).
Occorre ulteriormente chiarire che nel periodo dal 2008 al 2013, quindi, quello inerente alla controversia in esame, lo Statuto del C.O.N.I. prevedeva un sistema di giustizia sportiva fondato sul binomio: Tribunale nazionale di arbitrato per lo Sport – Alta Corte di Giustizia.
Il giudizio davanti al T.n.a.s., competente solo sulle controversie "aventi ad oggetto diritti disponibili" che contrapponevano una Federazione a soggetti affiliati o che gli erano state devolute mediante clausola compromissoria, aveva la forma dell’arbitrato rituale. Sicché le decisioni potevano essere oggetto di ricorso per nullità ex art. 828 c.p.c.
L’Alta Corte, invece, oltre alle questioni su posizioni rilevanti solo all’interno dell’ordinamento sportivo, aveva competenza sulle questioni aventi ad oggetto interessi legittimi e diritti indisponibili.
Un superamento del meccanismo descritto si ha con la riforma del dicembre 2013 del sistema della giustizia sportiva, che, abbandonando il modello arbitrale, elimina il dualismo sopra descritto a favore di un unico organo: il Collegio di garanzia dello sport, competente a decidere sulle impugnazioni di tutte le decisioni non altrimenti impugnabili emesse dagli organi di giustizia sportiva federale, a eccezione di quelle in materia di doping e di quelle che hanno comportato l'irrogazione di sanzioni tecnico-sportive di durata inferiore a 90 giorni o pecuniarie fino a 10.000 euro.
3. Tanto premesso in diritto, in ordine logico è prioritario l’esame della seconda doglianza contenuta nell’appello principale, con la quale il C.O.N.I. si duole, in buona sostanza, della natura anfibologica e duale riconosciuta dal TAR alla delibera n. 1491 del 2013.
La censura è fondata e deve essere accolta.
La soluzione prescelta dal primo giudice nella misura in cui destruttura il provvedimento amministrativo, parcellizzandolo, non è condivisibile, né dal punto di vista del diritto sostanziale, né dal punto di vista del diritto processuale per le diverse sorti alle quali destina l’unico atto adottato dall’amministrazione.
Quanto al primo profilo occorre rammentare che la teoria del provvedimento amministrativo, quale manifestazione dell’esercizio del potere amministrativo si costruisce attorno a tre distinti fattori: a) quello processuale, essendo necessario individuare cosa si intendesse per atto impugnabile; b) quello pandettistico, che tenta di rimodellare le forme dell’azione amministrativa sulla falsa riga della tesi del negozio giuridico; c) quello procedimentale, ossia del processo decisorio a monte del provvedimento. A livello normativo l’architettura della nozione di provvedimento amministrativo, non trova un riscontro sul piano definitorio da parte del legislatore, che nella legge generale sul procedimento amministrativo come novellata nel 2005, detta, invece, una disciplina del provvedimento. Sicché solo in via induttiva da quest’ultima si possono individuare i caratteri tipici del provvedimento, quali: l’unilateralità, la tipicità, la motivazione, l’emanazione a seguito di un procedimento, l’immediata produzione di effetti, l’impugnabilità da parte del g.a. et similia. Si tratta, peraltro, di elementi che non consentono di fissare con precisione la nozione di provvedimento amministrativo, sia perché non essendo presente per alcuni di questi una definizione normativa, si tratta di concetti essi stessi imprecisi, sia perché alcuni atti presentano non tutti i suddetti caratteri (ad es. gli atti normativi di secondo grado e gli atti generali non contengono la motivazione).
Venendo più da vicino alla questione che ci interessa, però, ossia il rapporto tra provvedimento e motivazione, si può fare leva sull’ausilio della definizione che di quest’ultima offre il legislatore all’art. 3, l. n. 241/90. la norma in questione: I) pone l’obbligo generalizzato della motivazione a corredo di tutti i provvedimenti amministrativi, salvo deroghe esplicite; II) definisce la motivazione come l’insieme dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria; III) chiarisce che a fronte di un’unica motivazione possono esserci più ragioni che la compongono.
Dal punto di vista sostanziale, quindi, ad un provvedimento corrisponde una motivazione che può comporsi di più ragioni, ma la molteplicità di quest’ultime non genera una pluralità di provvedimenti, poiché il provvedimento si presenta come epifania dell’unico potere amministrativo esercitato al termine del procedimento o se si volesse risalire la corrente privatistica unica manifestazione della volontà dell’amministrazione rispetto al fine pubblico o ancora unico atto amministrativo impugnabile dinanzi al g.a.
Venendo, invece, al versante processuale appare erroneo separare la richiesta di caducazione dell’unico provvedimento in due distinte domande laddove l’interesse fatto valere sia unico, nella fattispecie un interesse legittimo oppositivo alla conservazione della nomina conseguita, ed unica sia la domanda rivolta al g.a. In questo senso non appare corretto ritenere che la pregiudiziale sportiva possa essere praticata separatamente. Del resto, proprio la considerazione in base alla quale la mancata contestazione di una delle ragioni autonome che sorreggono il provvedimento amministrativo, non ne consente la sua caducazione rendendo inammissibile per carenza di interesse ad agire la relativa impugnazione (cfr. ex plurimisCons. Stato, sez. IV, 12 giugno 2013, n. 3261), avrebbe dovuto portare a ritenere che se fosse stato fatto valere uno solo dei vizi in questione dinanzi al giudice sportivo questo avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il ricorso. Pertanto, la pregiudiziale sportiva necessita un pronunciamento integrale rispetto all’interesse fatto valere dal ricorrente da parte degli organi di giustizia sportiva, prima che della controversia possa essere investito il g.a.
Nella specie è pacifica l’indole unitaria e non duplice della delibera del C.O.N.I. ed il suo carattere autonomo rispetto alla pronuncia della giustizia sportiva; invero tale delibera:
- ha preso atto dell’annullamento delle operazioni di voto da parte dell’Alta Corte;
- ha riscontrato la presenza di gravi irregolarità gestionali e contabili;
- ha discrezionalmente valutato la presenza dei presupposti per il commissariamento dell’ente sanciti dalla disciplina di settore (art. 7, co. 2, lett. f), d.lgs. n. 212 del 1999 e art. 7, punto 5, lett. f), e 23, punto 3, dello Statuto).
Da ciò deriva che il ricorso di prime cure doveva essere dichiarato inammissibile dal TAR nella parte in cui invocava l’annullamento della delibera del C.O.N.I. n. 1491 del 2013 restando assorbita ogni altra valutazione del medesimo.
4. Si può passare, pertanto, all’esame del primo motivo posto a sostegno dell’appello principale con il quale si chiede la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui ha statuito la caducazione della decisione n. 19 dell'Alta Corte di Giustizia Sportiva presso il C.ON.I. che, a sua volta, aveva accolto il ricorso proposto dal Circolo Ippico Uccelina ASD.
Non può condividersi sul punto la sentenza impugnata che ha ritenuto erronea la sentenza dell’Alta Corte nella misura in cui:
a) ha affermato che la decisione sulle contestazioni assunta da un organo (la CVP) carente di potere - comportando la nullità o l’inesistenza della decisione dell’Assemblea - poteva essere rilevato d’ufficio anche se non dedotto dal Circolo ricorrente;
b) ha ritenuto che trattandosi di un caso di incompetenza relativa tale vizio non fosse stato ritualmente e tempestivamente dedotto dinanzi all’Alta Corte.
Infatti, quanto alla prima affermazione, deve rilevarsi che qualora siano stati dedotti e provati i fatti che ne sono a fondamento, il giudice sportivo, in analogia con quanto previsto dall’art. 31, comma 4, c.p.a., può rilevare d'ufficio la nullità di un atto dell’ordinamento sportivo, anche se sia stata proposta la domanda di annullamento, senza incorrere nel vizio di ultrapetizione, atteso che in quest’ultima è implicitamente postulata l'assenza di ragioni che determinino la nullità del provvedimento di cui si invoca la caducazione; ne consegue che il rilievo di quest'ultima da parte del giudice dà luogo a pronunzia non eccedente i limiti della causa, la cui efficacia resta commisurata nei limiti della domanda proposta.
Quanto alla seconda questione, a differenza di quanto sostiene il TAR, il vizio che affligge la decisione della CVP e che si riverbera di conseguenza sulla validità delle operazioni elettorali del 10 settembre 2012, risulta dedotto dinanzi all’Alta Corte. Se si esamina, infatti, il ricorso proposto dal Circolo Ippico Uccellina ASD si evince che lo stesso si duole della decisione della CVP di diniego di ammissione al voto, precisando che proprio a seguito di quest’ultima decisione l’esito elettorale è stato viziato, poiché si sarebbe illegittimamente formata la platea di aventi diritto al voto in assemblea. In modo più puntuale nel ricorso per motivi aggiunti (pag. 8) presentato dinanzi all’Alta Corte viene contestato il mancato rispetto del procedimento previsto dall’art. 28 delle norme di attuazione dello Statuto federale F.I.S.E.
Conseguentemente, la circostanza che si sia in presenza di un’ipotesi di incompetenza relativa non appare dirimente, giacché il vizio in questione risulta dedotto ed è fondato. Infatti, dall’esame degli artt. 28 e 29 delle norme di attuazione dello Statuto federale F.I.S.E. si apprezza che la CVP esercita un ruolo di:
c) controllo dell’identità degli aventi diritto a voto e accertamento della regolarità delle deleghe;
d) verbalizzazione delle contestazioni sulla validità della rappresentanza di un avente diritto al voto; e) verbalizzazione dei ricorsi presentati. Mentre spetta all’Assemblea la decisione sui suddetti ricorsi ai sensi del citato art. 29 comma 3, secondo il quale: “Il Presidente Federale o chi ne fa le veci, preso atto del verbale della Commissione Verifica Poteri, dichiara aperta l’Assemblea e ne assume provvisoriamente la presidenza; invita quindi tutti gli aventi diritto a voto a deliberare sugli eventuali ricorsi presentati ai sensi del precedente articolo 28 comma 4”.
Nel caso in esame l’iter in questione non è stato rispettato, atteso che dal verbale della CVP del 10 settembre 2012 risulta che quest’ultima non si è limitata a prendere atto dei ricorsi presentati ma li ha decisi e dal verbale dell’Assemblea in pari data risulta semplicemente che vi è stata lettura del citato verbale della CVP, senza che l’Assemblea abbia proceduto all’esame dei singoli ricorsi ovvero che abbia condiviso o ratificato la decisione presa da parte della CVP. Pertanto, in disparte ogni considerazione sulla possibilità che all’interno di un procedimento di natura lato sensu giustiziale l’organo cui è deputata la decisione possa convalidare quella assunta dall’organo incompetente, deve rilevarsi in fatto come nessuna ratifica sia stata posta in essere. Pertanto, merita di essere accolta la doglianza esposta nell’appello principale in esame.
5. Sulla scorta delle rassegnate conclusioni il ricorso di primo grado deve essere dichiarato in parte inammissibile ed in parte infondato, assorbita ogni altra questione non rilevante ai fini dell’odierna decisione.
A tanto consegue l’accoglimento dell’appello principale e la reiezione di quello incidentale
6. Nella particolare complessità e novità delle questioni trattate si ravvisano eccezionali motivi per compensare le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:
a) accoglie l’appello principale;
b) rigetta l’appello incidentale, e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, in parte dichiara inammissibile ed in parte respinge il ricorso di primo grado.
Compensa le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 dicembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente FF
Carlo Saltelli, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 22/12/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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