giovedì 26 marzo 2015

2015, L’Emotività del cavallo condizionata dall'ambiente, dagli eventi e dall’uomo: le nuove Frontiere Veterinarie! (By Daniele Gagliardi)

2015, L’Emotività del cavallo condizionata dall'ambiente, dagli eventi e dall’uomo: le nuove Frontiere Veterinarie! (By Daniele Gagliardi)

Parlare semplicemente di patologie del comportamento animale dopo lo sviluppo attuale che stanno avendo anche in campo veterinario le conoscenze scientifiche riguardanti neuroscienze e cognitivismo, sembra stia diventando sempre più incompleto ed incorretto per tutti coloro i quali si interessano e lavorano in campo comportamentalista.

Se il comportamento è il risultato di un dialogo tra mente, interferenza ambientale e i feedback dell’espressione comportamentale, dove è la mente a mediare tra interazione ambientale e corpo, credo che potrebbe essere introdotto anche in veterinaria un concetto, se pur basilare, di psichiatria.


La cultura antropocentrica, permeata com’è di convinzioni filosofiche di scuola cartesiana e galileiana, di fatto rappresenta un grosso freno per l’accettazione del concetto di psiche se non riferita all’uomo, come accade spesso in veterinaria. Dobbiamo però cercare di superare la cecità morale di questa resistenza che ci fa sì parlare di psiche anche riferendoci agli animali, ma ci rende ostinati ed attenti solo alla mera patologia comportamentale. Ma non è il comportamento patologico l’espressione di un disagio o di una sofferenza interna e quindi della mente? Non parliamo sempre più frequentemente di benessere ponendo sempre più attenzione alla valutazione dello stato psico–fisico dei nostri cavalli? Quindi perché non ripartire ad esempio dai concetti comportamentalistici  watsoniani di inizio ‘900 basandoci sempre più sulle approfondite, minuziose e dettagliate conoscenze scientifiche validate dall'ultimo secolo di studi?


Ad oggi, a partire dal Trattato di Lisbona e passando per Leggi ed Ordinanze emanate dai vari Stati evoluti, non ultima la Dichiarazione di Cambridge dove è stato formalizzato il riconoscimento agli animali della capacità di soffrire e di gioire e cioè di una coscienza, si fa un gran parlare di “senzienza” ed “emozioni” così come di “esperienza cosciente del comportamento intenzionale”.

Tutto ciò scaturisce da studi scientifici e conseguenti conoscenze sempre più approfondite e dettagliate, di neuroanatomia, neurochimica e neurofisiologia che hanno sottolineato l’esistenza di strutture ed evidenziato meccanismi responsabili di tali effetti. Di conseguenza anche la medicina veterinaria si arricchisce di una differenziazione sempre più pertinente ed evidente tra aspetti fisiologici e patologici riguardanti il comportamento animale.


Particolari stati psicologici elementari o di relazione, a questo punto, tipici e geneticamente così importanti nella storia evolutiva del cavallo, quali ad esempio ansia e neofobia, non sono altro che una alterazione elementare della normale attività di specifiche strutture encefaliche, nelle quali prendono vita quei meccanismi di regolazione interna che rappresentano la base dei processi cognitivi ed emozionali che in condizioni fisiologiche permettono l’espressione di comportamenti adattativi, mentre in condizioni patologiche esitano in alterazioni più determinanti e gravi, con conseguente perdita della capacità di elaborare strategie comportamentali adattative e tali, ancor più, da esitare in manifestazioni patologiche ricorrenti (es. stereotipie) frutto di quella che viene definita “cristallizzazione comportamentale” (es. comportamenti ansiogeni stereotipati e fobie ricorrenti).


Da un punto di vista strettamente neuro–anatomico, le strutture cerebrali coinvolte sono i centri corticali superiori, i nuclei sottocorticali, l’ipotalamo ed il sistema limbico. Quest’ultimo, in particolare, media l’interazione tra i centri corticali superiori e l’ipotalamo, fungendo da centro di integrazione degli stati emozionali e di innesco dell’espressione periferica risultante da tali stati.
L’efficienza e l’operatività di tali strutture cerebrali è il risultato del corretto funzionamento delle sinapsi, dei recettori e dei neurotrasmettitori e rappresenta nient’altro che la codifica delle predeterminazioni legate al corredo genetico, alle variabili epigenetiche, alle influenze ambientali, alle esperienze sociali ed anche alle così dette “interazioni bidimensionali somato–psichiche” di ogni singolo individuo. Le patologie comportamentali, quindi non possono più essere viste come il mero frutto della relazione causa–effetto ma devono necessariamente essere considerate quali patologie multifattoriali dotate di grande variabilità sia clinico che sintomatologico.

Infatti, sia il decorso clinico che la sua evoluzione, così come tutto il corredo sintomatologico di contorno, diventano assolutamente assoggettati ad un carattere di individualità tale, in funzione della risilienza1 e della consistenza del singolo paziente. Per cui nella ricerca dei criteri diagnostici per differenziare uno stato ansioso da uno fobico o una Sindrome da ipersensibilità–iperreattività da una Sindrome da privazione sensoriale, bisogna prendere in considerazione le risorse, il contesto e le carenze che il singolo paziente ci offre e ci concede.

Una tale nuova interpretazione delle patologie comportamentali in medicina ippiatrica ci conduce quasi naturalmente ad una evidente visione psichiatrica, nella consapevolezza tuttavia della compartecipazione dei determinanti interni ed esterni di ogni individuo per quanto concerne la loro insorgenza. Questa lettura psichiatrica delle patologie del comportamento ci porta quindi ad affermare che l’interpretazione multifattoriale delle patologie comportamentali, come peraltro dei comportamenti normali,fa si che la singola risposta comportamentale ad un dato evento, fisiologica o patologica che sia, non sia determinata solo da questo ma da una serie di fattori interni ed esterni.

Non è infatti più pensabile oggi, ad esempio, di far scaricare l’energia ad un cavallo facendolo solo girare alla corda e correre allo schiocco della frusta oppure che sia la frusta a determinare e scatenare il comportamento da predato. La complessità e l’eterogeneità dei sintomi testimoniano quindi disfunzioni che interessano i sistemi neurotrasmettitoriali e i recettori coinvolti nel funzionamento delle strutture cerebrali cognitive ed emozionali.


Le cosiddette patologie comportamentali più frequenti sono di fatto l’esito, nel giovane e l’evoluzione nell’adulto, di specifici danni biologici accaduti durante le prime fasi della vita al processo neurogenico con conseguenti alterazioni strutturali e funzionali a livello cerebrale. Quindi possiamo parlare a pieno titolo di patologie del neuro–sviluppo caratterizzate da un’alterata connettività sinaptica.
Le cause di queste patologie sono rappresentate prevalentemente dalla perdita genitoriale materna, dall’assenza del legame di attaccamento, dallo sviluppo dell’iperattaccamento, da una comunicazione mal strutturata e ancor più spesso da una carenza di socializzazione.


Ciò ci porta doverosamente a rivedere in chiave critica gli aspetti legati all’adattamento, all’apprendimento ed alla personalità dei singoli in funzione degli obiettivi addestrativi e riaddestrativi, vero punto di criticità della interazione uomo–cavallo e della costruzione di binomi vincenti.

Daniele Gagliardi       
Equifare: Fare Equitazione by Roberto Bellotti is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License.

Ti piace Equifare? Clicca anche tu "Mi piace"

Nessun commento:

Posta un commento

Ti potrebbe interessare anche

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

Condividi Ora con i tuoi Amici