2015, L’Emotività
del cavallo condizionata dall'ambiente, dagli eventi e dall’uomo: le nuove
Frontiere Veterinarie! (By Daniele Gagliardi)
Parlare
semplicemente di patologie del comportamento animale dopo lo sviluppo attuale
che stanno avendo anche in campo veterinario le conoscenze scientifiche
riguardanti neuroscienze e cognitivismo, sembra stia diventando sempre più
incompleto ed incorretto per tutti coloro i quali si interessano e lavorano in
campo comportamentalista.
Se il
comportamento è il risultato di un dialogo tra mente, interferenza ambientale e
i feedback dell’espressione comportamentale, dove è la mente a mediare tra
interazione ambientale e corpo, credo che potrebbe essere introdotto anche in
veterinaria un concetto, se pur basilare, di psichiatria.
La cultura
antropocentrica, permeata com’è di convinzioni filosofiche di scuola cartesiana
e galileiana, di fatto rappresenta un grosso freno per l’accettazione del
concetto di psiche se non riferita all’uomo, come accade spesso in veterinaria.
Dobbiamo però cercare di superare la cecità morale di questa resistenza che ci
fa sì parlare di psiche anche riferendoci agli animali, ma ci rende ostinati ed
attenti solo alla mera patologia comportamentale. Ma non è il comportamento
patologico l’espressione di un disagio o di una sofferenza interna e quindi
della mente? Non parliamo sempre più frequentemente di benessere ponendo sempre
più attenzione alla valutazione dello stato psico–fisico dei nostri cavalli?
Quindi perché non ripartire ad esempio dai concetti comportamentalistici watsoniani di inizio ‘900 basandoci sempre più
sulle approfondite, minuziose e dettagliate conoscenze scientifiche validate
dall'ultimo secolo di studi?
Ad oggi, a
partire dal Trattato di Lisbona e passando per Leggi ed Ordinanze emanate dai
vari Stati evoluti, non ultima la Dichiarazione di Cambridge dove è stato
formalizzato il riconoscimento agli animali della capacità di soffrire e di
gioire e cioè di una coscienza, si fa un gran parlare di “senzienza” ed
“emozioni” così come di “esperienza cosciente del comportamento intenzionale”.
Tutto ciò
scaturisce da studi scientifici e conseguenti conoscenze sempre più
approfondite e dettagliate, di neuroanatomia, neurochimica e neurofisiologia
che hanno sottolineato l’esistenza di strutture ed evidenziato meccanismi responsabili
di tali effetti. Di conseguenza anche la medicina veterinaria si arricchisce di
una differenziazione sempre più pertinente ed evidente tra aspetti fisiologici
e patologici riguardanti il comportamento animale.
Particolari stati
psicologici elementari o di relazione, a questo punto, tipici e geneticamente
così importanti nella storia evolutiva del cavallo, quali ad esempio ansia e
neofobia, non sono altro che una alterazione elementare della normale attività
di specifiche strutture encefaliche, nelle quali prendono vita quei meccanismi
di regolazione interna che rappresentano la base dei processi cognitivi ed
emozionali che in condizioni fisiologiche permettono l’espressione di
comportamenti adattativi, mentre in condizioni patologiche esitano in
alterazioni più determinanti e gravi, con conseguente perdita della capacità di
elaborare strategie comportamentali adattative e tali, ancor più, da esitare in
manifestazioni patologiche ricorrenti (es. stereotipie) frutto di quella che
viene definita “cristallizzazione comportamentale” (es. comportamenti ansiogeni
stereotipati e fobie ricorrenti).
Da un punto di
vista strettamente neuro–anatomico, le strutture cerebrali coinvolte sono i
centri corticali superiori, i nuclei sottocorticali, l’ipotalamo ed il sistema
limbico. Quest’ultimo, in particolare, media l’interazione tra i centri
corticali superiori e l’ipotalamo, fungendo da centro di integrazione degli
stati emozionali e di innesco dell’espressione periferica risultante da tali
stati.
L’efficienza e
l’operatività di tali strutture cerebrali è il risultato del corretto
funzionamento delle sinapsi, dei recettori e dei neurotrasmettitori e
rappresenta nient’altro che la codifica delle predeterminazioni legate al corredo
genetico, alle variabili epigenetiche, alle influenze ambientali, alle
esperienze sociali ed anche alle così dette “interazioni bidimensionali
somato–psichiche” di ogni singolo individuo. Le patologie comportamentali,
quindi non possono più essere viste come il mero frutto della relazione
causa–effetto ma devono necessariamente essere considerate quali patologie multifattoriali
dotate di grande variabilità sia clinico che sintomatologico.
Infatti, sia il
decorso clinico che la sua evoluzione, così come tutto il corredo
sintomatologico di contorno, diventano assolutamente assoggettati ad un
carattere di individualità tale, in funzione della risilienza1 e della
consistenza del singolo paziente. Per cui nella ricerca dei criteri diagnostici
per differenziare uno stato ansioso da uno fobico o una Sindrome da
ipersensibilità–iperreattività da una Sindrome da privazione sensoriale,
bisogna prendere in considerazione le risorse, il contesto e le carenze che il
singolo paziente ci offre e ci concede.
Una tale nuova
interpretazione delle patologie comportamentali in medicina ippiatrica ci
conduce quasi naturalmente ad una evidente visione psichiatrica, nella
consapevolezza tuttavia della compartecipazione dei determinanti interni ed
esterni di ogni individuo per quanto concerne la loro insorgenza. Questa
lettura psichiatrica delle patologie del comportamento ci porta quindi ad
affermare che l’interpretazione multifattoriale delle patologie
comportamentali, come peraltro dei comportamenti normali,fa si che la singola
risposta comportamentale ad un dato evento, fisiologica o patologica che sia,
non sia determinata solo da questo ma da una serie di fattori interni ed
esterni.
Non è infatti più
pensabile oggi, ad esempio, di far scaricare l’energia ad un cavallo facendolo solo
girare alla corda e correre allo schiocco della frusta oppure che sia la frusta
a determinare e scatenare il comportamento da predato. La complessità e
l’eterogeneità dei sintomi testimoniano quindi disfunzioni che interessano i
sistemi neurotrasmettitoriali e i recettori coinvolti nel funzionamento delle
strutture cerebrali cognitive ed emozionali.
Le cosiddette
patologie comportamentali più frequenti sono di fatto l’esito, nel giovane e
l’evoluzione nell’adulto, di specifici danni biologici accaduti durante le
prime fasi della vita al processo neurogenico con conseguenti alterazioni
strutturali e funzionali a livello cerebrale. Quindi possiamo parlare a pieno
titolo di patologie del neuro–sviluppo caratterizzate da un’alterata
connettività sinaptica.
Le cause di
queste patologie sono rappresentate prevalentemente dalla perdita genitoriale
materna, dall’assenza del legame di attaccamento, dallo sviluppo
dell’iperattaccamento, da una comunicazione mal strutturata e ancor più spesso
da una carenza di socializzazione.
Ciò ci porta
doverosamente a rivedere in chiave critica gli aspetti legati all’adattamento,
all’apprendimento ed alla personalità dei singoli in funzione degli obiettivi
addestrativi e riaddestrativi, vero punto di criticità della interazione
uomo–cavallo e della costruzione di binomi vincenti.
Daniele Gagliardi
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