2014, Il Mondo ParaEquestre: Idee per la nuova FISE e la FIASE (postato da Stefania Cerino)
Da sempre lo sport ha apprezzato i talenti degli atleti che pur con handicap psicomotori, non esitano a cimentarsi in competizioni, confronti, campionati senza remore né timori. Dal canto suo, il variegato mondo della disabilità e del disagio sociale ha compreso da tempo il valore dello sport, sia come agonismo, che come benessere per le persone con esigenze particolari.
Da sempre lo sport ha apprezzato i talenti degli atleti che pur con handicap psicomotori, non esitano a cimentarsi in competizioni, confronti, campionati senza remore né timori. Dal canto suo, il variegato mondo della disabilità e del disagio sociale ha compreso da tempo il valore dello sport, sia come agonismo, che come benessere per le persone con esigenze particolari.
Riferendo tutto ciò all’ambito equestre, si sono sviluppati
i due grandi filoni della Riabilitazione Equestre e dell’Equitazione
paralimpica. Il primo, con attività ed interventi, di tipo sia ludico-educativo
che sanitario, rivolto ad utenti con particolari necessità nella sfera
psico-fisica, il secondo riservato
unicamente agli atleti con deficit neuromotori e con due discipline
riconosciute a livello ufficiale dalla FEI: il paradressage (disciplina
olimpica) e gli attacchi (disciplina FEI).
E’ chiaro che si parla di un settore di nicchia, con numeri
piccoli e tante difficoltà organizzative. La Riabilitazione Equestre,
senz’altro più diffusa, paga però ancora oggi lo scotto dell’assenza di un
quadro normativo di riferimento a livello nazionale e molto spesso è gestita
come un’attività “a metà” tra intervento terapeutico e “sportivo” tout court.
Questo è dovuto, e spiace dirlo, anche alla grande disinformazione presente tra
gli stessi addetti ai lavori che a volte confondono e sovrappongono programmi
riabilitativi e sportivi, magari anche in buona fede, spinti dall’ansia del
“fare” comunque qualcosa.
L’Equitazione paralimpica è stata fino al 2008 gestita dal
Comitato Italiano Paralimpico, che rappresenta l’Ente equivalente al CONI per
gli Sport Equestri e che è quello che sostiene anche economicamente le diverse
federazioni sportive paralimpiche. Giusto per dare un parametro di riferimento,
il contributo CIP agli sport equestri è stato negli ultimi anni variabile tra i
100.000 ed i 120.000 €. Questo sostegno economico, che le singole federazioni
possono poi integrare, dovrebbe servire a sostenere le discipline FEI, i
Campionati Nazionali, ed i Campionati Europei e Mondiali, mentre per la
Paralimpiadi gli ulteriori oneri sono sempre a carico CIP. Ma dovrebbe anche
servire a sviluppare tutto il discorso della promozione, dello sviluppo della
base, dello studio delle discipline sperimentali (lo scorso anno negli Stati
Uniti si è tenuto il primo Campionato Nazionale di Para-reining!), della
formazione ed aggiornamento dei Tecnici, dei Giudici, dei Classificatori.
A differenza di altre nazioni che fanno di queste attività un
fiore all’occhiello (la Riding for Disabled Association inglese ha come
Presidente S.A.R, la Principessa Anna d’Inghilterra, l’associazione tedesca cui
fanno capo i guidatori di attacchi paralimpici si sostiene anche con progetti
di crow-funding e grazie a questi i suoi atleti riescono a partecipare ai campionati mondiali,
negli Stati Uniti è stato approntato un programma sportivo equestre dedicato ai
reduci di guerra, che ha avuto un enorme successo, anche mediatico), l’Italia,
almeno nelle discipline equestri, è un po’ sottotono, pur avendo la squadra di
paradressage al secondo posto del Ranking internazionale FEI ed amazzoni del
calibro di Sara Morganti, plurivincitrice di medaglie ai Campionati Europei.
Però , come accade anche in altri settori, dopo il vertice….il diluvio!
Sarebbe veramente importante che i dirigenti sportivi
cogliessero la grande opportunità che le attività paraequestri – agonistiche o
meno- possono offrire. Prima di ogni altra cosa lo sport è un grandissimo mezzo
di integrazione sociale, di educazione e prevenzione dai comportamenti
violenti, di recupero di fasce disagiate (vedi donne bambini vittime di abusi),
di sostegno ad altre attività riabilitative (vedi tutto il settore psichiatrico
e dei disturbi neuromotori in genere), è un’opportunità per approfondire gli
studi e le ricerche sulla relazione uomo animale e sul comportamento e
temperamento dei cavalli (e degli asini, non va dimenticato!) impiegati come
“mediatori” terapeutici; è un settore dove la formazione va qualificata dal
punto di vista tecnico e le metodiche di intervento vanno standardizzate, dove
c’è spazio per la collaborazione con istituzioni pubbliche e private, con la
scuola, con il Sistema Sanitario Nazionale, con le Università….e si potrebbe
continuare ancora a lungo.
Un mondo quindi complesso e pieno di sfumature, di
soddisfazioni e frustrazioni, di possibilità ed occasioni, ma soprattutto un
mondo che consente di tendere una mano
al disagio non in modo paternalistico ed acritico, ma facendo sì che le persone
più sfortunate si possano confrontare con sé stessi, con gli altri, con la vita
da pari a pari, dove l’handicap è certamente presente, ma non determinante e
condizionante per la propria esistenza.
In quest’ottica si ritiene che ampliare l’ orizzonte del mondo paraequestre,
anche in sinergia anche con altri settori dell’equitazione, non possa che
portare a tutti benefici in senso fisico, morale, oltre che creare interesse e ritorno in termini di
visibilità mediatica e capacità di attrazione per gli sponsor, a beneficio
degli atleti e delle loro famiglie che qui – più ancora che nelle altre
discipline equestri! – affrontano davvero sacrifici economici enormi anche solo
per permettere ad un figlio di partecipare ad una categoria dove magari è
l’unico partente.
Stefania Cerino
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